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USO DELLA PROPRIETA’ ESCLUSIVA

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SOMMARIO
a) Attività professionale
b) Danno alle parti comuni
c) Destinazione d’uso
d) Esigenze di tranquillità e riposo
e) Lettura dei contatori
f) Limiti imposti dal regolamento
g) Locazione a terzi
h) Mutamento d’uso
i) Stendimento panni.

a)  Attività professionale

Lo stilista di moda può utilizzare i locali del condominio per lo svolgimento di attività professionale che il regolamento condominiale consenta, purché si tratti di prestazioni di carattere intellettuale, senza che vi si aggiunga un’attività a carattere commerciale.

* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 20 marzo 1989, Condominio di via Alberto Mario, 6, Milano c. Rubber Finanziaria Spa.

E’ legittima, ai sensi dell’art. 1130 n. 4 c.c., la deliberazione dell’assemblea condominiale con la quale si incarica l’amministratore di verificare la sussistenza dei requisiti necessari all’esercizio di un laboratorio di medicina nucleare nei locali di proprietà di un condomino.

* Corte app. civ. Milano, 16 giugno 1989.

L’attività di medico pediatra di base, svolta in un appartamento facente parte di un fabbricato in regime condominiale, non contrasta con la clausola del regolamento di condominio che vieta di destinare le singole unità immobiliari ad uso laboratorio, clinica o ambulatorio, ma ne consente l’uso per studio privato professionale.

* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 28 maggio 1990.

b)  Danno alle parti comuni

In tema di condominio negli edifici, l’esercizio del diritto del singolo sulle parti di sua esclusiva proprietà non può ledere il godimento dei diritti degli altri sulle cose comuni, come si ricava dall’art. 1122 cod. civ., il quale stabilisce che ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che arrechino danno ad una parte comune dell’edificio, essendo tenuto al rispetto anche della qualità della stessa. Infatti, il concetto di danno, cui la norma fa riferimento, non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (nella specie, trattavasi del sopralzo dei parapetti del terrazzo di copertura dell’edificio, che, secondo il giudice di merito, aveva compromesso sul piano estetico il rispetto dell’aspetto architettonico del fabbricato).

* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1947, Menichini c. Candela.

La norma dell’art. 1122 c.c., per cui ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà esclusiva, non può eseguire opere che arrechino danno ad una parte comune dell’edificio, non si riferisce soltanto al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca struttura della cosa, ma anche all’eliminazione o riduzione, ottenuta mediante influenza dall’esterno, dell’attitudine della cosa a servire all’uso o agli usi a cui è destinata. In quest’ultimo caso, la tutela può essere invocata contro opere che elidono o riducono apprezzabilmente una qualsiasi delle utilità da essa ritraibili, ivi comprese quelle d’ordine estetico ed edonistico, purché‚ la cosa appaia, per il suo obiettivo modo di essere, destinata anche ad esse secondo il comune apprezzamento sociale e purché esse siano economicamente valutabili, cioè incidano sul valore economico della cosa stessa. Ne consegue che nel caso di terrazza comune, la quale, oltre alla funzione di copertura dell’edificio, assolva, per le sue caratteristiche obiettive (adeguata esposizione, acconcio parapetto ecc.), quella di offrire una veduta avente carattere panoramico e conferisca alla terrazza stessa un particolare pregio economicamente valutabile, deve ritenersi in tutto, o, in parte illecita un’opera posta in essere dal condomino nell’ambito della sua proprietà esclusiva (utilizzando o no un’altra cosa comune), la quale escluda o riduca apprezzabilmente tale veduta, con deprezzamento della terrazza (e, quindi, dell’intero edificio e di ciascuna porzione di esso).

* Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1975, n. 3872.

In mancanza di norme limitative della destinazione e dell’uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti dal regolamento che sia stato approvato da tutti i condomini, la norma dell’art. 1122 cod. civ. vieta soltanto di compiere, nel piano o nella porzione di piano di proprietà esclusiva, opere che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio e non già opere che consistano nella semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro.

* Cass. civ., sez. II, 17 luglio 1980, n. 4677, Bianchi c. Cond. V. Pellati.

c)  Destinazione d’uso

Nel caso di violazione del divieto contenuto in un regolamento condominiale contrattuale di destinare i singoli locali di proprietà esclusiva dell’edificio condominiale a determinati usi (nella specie: divieto di esercitare attività commerciale) il condominio può richiedere anche nei diretti confronti del conduttore del locale di proprietà esclusiva la cessazione della destinazione abusiva, con la conseguente esistenza di una situazione di litisconsorzio necessario con il proprietario del detto locale, che sia stato con esso convenuto in giudizio, riguardando la validità della clausola del regolamento tanto il proprietario quanto il conduttore. Ne deriva che il giudice d’appello il quale accerti la nullità di notifica della citazione introduttiva del giudizio nei confronti del primo di detti soggetti deve rimettere l’intera causa al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 354 c.p.c., restando esclusa la possibilità di decisioni separate nei confronti, rispettivamente, del proprietario e del conduttore, in ordine alla legittimità dell’uso dell’unità immobiliare, attesa anche l’opportunità di evitare giudicati contraddittori.

* Cass. civ., 21 marzo 1994, n. 2683.

Il divieto, a carico del condomino di edificio, di dare una determinata destinazione alla porzione di sua proprietà esclusiva, traducendosi in una limitazione delle facoltà inerenti al diritto dominicale, non può derivare da una deliberazione assembleare, adottata con le maggioranze previste per la regolamentazione dell’uso e del godimento dei beni comuni (art. 1138 terzo comma cod. civ.), ma presuppone un titolo convenzionale, con l’accettazione del vincolo da parte del condomino stesso (in sede di acquisto della proprietà esclusiva, ove si tratti di vincolo predisposto dal costruttore od originario unico proprietario dell’edificio, o con separato atto successivo, ovvero anche con adesione alla decisione assembleare che introduca il vincolo medesimo). In difetto di tale accettazione, pertanto, deve escludersi che una certa utilizzazione dell’alloggio di proprietà esclusiva (nella specie, ad ambulatorio medico) possa di per sé‚ costituire fatto illecito, avverso il quale sia dato al condominio od agli altri condomini facoltà di insorgere, salva restando la tutela di questi per gli eventuali pregiudizi che possano derivare dal concreto svolgimento delle attività inerenti a detta destinazione e dalle relative modalità (ad esempio, in caso di immissioni eccedenti la normale tollerabilità, a norma dell’art. 844 cod. civ.).

* Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1985, n. 3848, Cond. P. Stat. TO c. Brezzo.

Qualora un ente pubblico (nella specie, un’opera universitaria) deliberi di acquistare, con compravendita di diritto privato, alcuni locali facenti parte di un edificio condominiale, al fine di destinare i medesimi, mediante opportune opere di trasformazione, a una delle sue attività (nella specie, mensa universitaria), la domanda proposta al condominio di detto edificio, per dedurre che tale destinazione e tali opere sono vietate dal regolamento condominiale, di natura contrattuale, si ricollega a diritti soggettivi, non ad interessi legittimi, investendo un comportamento “iure privatorum” dell’amministrazione, e, pertanto, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario.

* Cass. civ., Sezioni Unite, 5 luglio 1984, n. 3955, Boccanera c. Opera Univ. Roma.

La clausola, inserita nel contratto di vendita di immobile in fabbricato condominiale, che imponga all’acquirente una determinata destinazione del bene, può produrre effetti riflessi a vantaggio degli altri condomini, ma, quale res inter alios acta, non costituisce in loro favore posizioni di diritto soggettivo, né quindi li abilita ad invocare quel contratto per opporsi ad un mutamento della suddetta destinazione.

* Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1991, n. 6775, Gallo c. Camera.

La clausola del regolamento di condominio di un edificio che impone il divieto di destinare i locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini a determinate attività, ritenute incompatibili con l’interesse comune (nella specie, divieto di destinare gli appartamenti a gabinetto odontotecnico), traducendosi in una limitazione delle facoltà inerenti al diritto di proprietà dei singoli condomini, deve essere approvata all’unanimità e per avere efficacia nei confronti degli aventi causa a titolo particolare dei condomini deve essere trascritta nei registri immobiliari oppure essere menzionata ed accettata espressamente nei singoli atti d’acquisto.

* Cass. civ., sez. II, 1 giugno 1993, n. 6100, Caprara c. Cond. Via Spina 5.

La semplice indicazione nel regolamento di condominio di una determinata destinazione delle unità immobiliari non può precluderne altre diverse, essendo tale risultato conseguibile solo mediante costituzione di reciproche servitù volontarie fra i vari condomini, con conseguente restrizione della sfera di dominio di costoro sui beni di loro proprietà esclusiva ed essendo a tal fine necessarie specifiche manifestazioni di volontà, desumibili in modo non equivoco dall’atto costitutivo.

* Cass. civ., sez. II, 4 giugno 1981, n. 3629, Canessa c. Soc. Unità.

I limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nel regolamento sia mediante indicazione delle attività vietate sia mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare: nella prima ipotesi é sufficiente verificare, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, se la stessa sia inclusa nell’apposito elenco; nella seconda ipotesi è necessario accertare l’effettiva capacità della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare. A tale ultimo fine, l’interpretazione della clausola regolamentare non può essere condotta con esclusivo riferimento allo stato di fatto esistente alla data della sua formazione, ma tenendo conto anche di situazioni che, pure inesistenti a quel tempo, debbono ritenersi, per identità di  ratio, da essa previste.

* Cass. civ., sez. II, 4 giugno 1981, n. 3629, Canessa c. Soc. Unità.

Con riferimento al divieto di destinazione ad usi particolari degli appartamenti di esclusiva proprietà dei condomini, nel caso di divergenza tra il contenuto della nota di trascrizione ed il contenuto del regolamento condominiale, è il primo a dover prevalere, in quanto il titolo viene a porsi quale oggetto soltanto mediato dalla trascrizione, che investe, invece, immediatamente la sola nota, predisposta sulla sua base. Di conseguenza, il contenuto della nota di trascrizione rappresenta la misura in cui il titolo é reso pubblico ed é, quindi, opponibile ai terzi, i quali, pertanto, non sono tenuti a consultare il titolo.

* Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1999, n. 6588, Ospedale Evangelico Internazionale c. Condominio di Corso Solferino n. 5, Genova.

Una convenzione, ancorché trascritta, intercorsa fra il costruttore di un edificio in condominio ed il comune, con la quale il primo si assume l’obbligo di non mutare la destinazione dei locali siti al piano servizi, crea rapporti soltanto fra le parti, ma non attribuisce al singolo condomino il diritto soggettivo di vietare ad altro condomino, proprietario esclusivo di alcuni locali siti al piano servizi, di mutarne la destinazione.

* Cass. civ., sez. II, 17 luglio 1980, n. 4677, Bianchi c. Cond. V. Pellati.

Nel caso di violazione del divieto contenuto in un regolamento condominiale contrattuale di destinare i singoli locali di proprietà esclusiva dell’edificio condominiale a determinati usi (nella specie: divieto di esercitare attività commerciale) il condominio può richiedere anche nei diretti confronti del conduttore del locale di proprietà esclusiva la cessazione della destinazione abusiva, con la conseguente esistenza di una situazione di litisconsorzio necessario con il proprietario del detto locale, che sia stato con esso convenuto in giudizio, riguardando la validità della clausola del regolamento tanto il proprietario quanto il conduttore. Ne deriva che il giudice d’appello il quale accerti la nullità di notifica della citazione introduttiva del giudizio nei confronti del primo di detti soggetti deve rimettere l’intera causa al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 354 c.p.c., restando esclusa la possibilità di decisioni separate nei confronti, rispettivamente, del proprietario e del conduttore, in ordine alla legittimità dell’uso dell’unità immobiliare, attesa anche l’opportunità di evitare giudicati contraddittori.

* Cass. civ., sez. II, 21 marzo 1994, n. 2683, Idi Srl c. Condominio di Via Frua n. 12 Milano.

Le limitazioni dei diritti di proprietà esclusiva dei singoli condomini, compreso l’obbligo di dare e mantenere una determinata destinazione alla porzione di proprietà esclusiva, possono essere introdotte, oltre che negli atti di acquisto, anche con il regolamento di condominio; in tal caso, devono, per la loro validità, essere approvate e accettate da tutti i condomini, ovvero, nell’ipotesi che incidano solo su alcune delle unità comprese nell’edificio, dai rispettivi titolari.

* Giud. Pace Pordenone, 27 gennaio 2000, n. 28, Scarpa c. Maso.

La limitazione degli usi cui possono essere destinate le unità immobiliari di proprietà esclusiva, facenti parte di un condominio, possono derivare dal regolamento condominiale approvato da tutti i condomini. Infatti le disposizioni dell’art. 1102 c.c. regolano soltanto il concorso del godimento dei condomini sul bene comune e non già i rapporti tra le parti oggetto di proprietà esclusiva, tra di loro e in relazione alle parti comuni: rapporti che trovano la loro regolamentazione nelle disposizioni sulla proprietà in generale, e in particolare negli artt. 833 e 844 c.c.; mentre l’art. 1122 c.c. riguarda soltanto il compimento di opere nel piano o porzione di piano di proprietà esclusiva, che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio, e non già una semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro.

* Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1975, n. 970.

Il divieto previsto dal regolamento condominiale di adibire un locale di proprietà esclusiva ad una determinata destinazione commerciale (nella specie, pescheria) costituisce un diritto di servitù a vantaggio delle altre singole unità immobiliari e la reciprocità dei vincoli di tal genere collega singolarmente, in senso verticale, ognuno di coloro che ne beneficiano con ognuno di coloro che ne sono gravati, costituendo dei rapporti distinti anche se connessi. Pertanto, in un procedimento iniziato da tutti i condomini e proseguito solo da alcuni in secondo grado per l’accertamento giudiziale di tale divieto, non sussiste l’obbligo di integrazione del contraddittorio in quanto trattasi di ipotesi di litisconsorzio facoltativo e le eventuali decisioni divergenti (positive per alcuni e negative per altri), adottate in procedimenti separati o in gradi diversi dello stesso, non danno luogo a pronunce  inutiliter datae, né comportano un contrasto di giudicati, stanti i limiti soggettivi della loro efficacia stabiliti dall’art. 2909 c.c.

* Cass. civ., sez. II, 28 giugno 2001, n. 8842, La Caletta di Musso Marisa e C. c. Ranzani ed altri.

E’ ammissibile la destinazione data ad un seminterrato di un edificio condominiale - legittimamente destinabile, per norma regolamentare, ad uso commerciale - a centro culturale e di pratica religiosa in quanto le attività culturali e religiose, anche se diverse da quelle dominanti nel nostro Paese, attengono alle manifestazioni più elevate dello spirito e non sono tacciabili di ledere il decoro o di perturbare la tranquillità dell’edificio. (Nella specie i giudici hanno particolarmente stigmatizzato le doglianze riguardanti il passaggio e la presenza di persone di razza araba nell’edificio condominiale).

* Corte app. civ. Milano, 23 luglio 1991, n. 1062.

Nel caso in cui l’assemblea abbia consentito la destinazione ad uso di gelateria di un locale sito nel fabbricato condominiale, é da ritenersi legittima l’estensione di tale attività anche alla preparazione del caffè ed alla somministrazione di bevande analcoliche, pure in presenza di una norma del regolamento che non consenta di destinare i locali ad esercizi quali le mescite di vino, bar e simili.

* Trib. civ. Milano, 20 febbraio 1992.

Le clausole di un regolamento condominiale di natura contrattuale limitative della destinazione delle singole unità immobiliari a determinati usi, devono essere interpretate rigorosamente; é pertanto da ritenersi lecita la destinazione a studio medico dentistico data ad un appartamento, qualora il regolamento condominiale si limiti a vietare la destinazione a sanatori, gabinetti operatori o per la cura delle malattie infettive.

* Trib. civ. Milano, 26 marzo 1992.

E’ ammissibile la destinazione data ad una unità immobiliare di un edificio condominiale ad agenzia di assicurazione, potendo detta attività comportare un uso più intenso delle parti e dei servizi, comuni per l’inevitabile maggior accesso di persone, compatibili però con la tranquillità, l’igiene e il decoro dell’edificio.

* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 13 settembre 1993.

E’ irrilevante l’autorizzazione concessa dal condominio all’esercizio di un’attività vietata espressamente da una norma di un regolamento condominiale predisposto dall’unico originario proprietario (nella specie: attività di pompe funebri), atteso che le norme regolamentari c.d. di origine esterna possono esser modificate soltanto da delibera unanime di tutti i condomini.

* Trib. civ. Roma, 14 luglio 1992.

Nella previsione normativa contenuta in un regolamento condominiale che vieta la destinazione dei locali “a sede di circolo... e a casi simili o analoghi” rientra anche la destinazione a bar, giusta l’omogeneità degli inconvenienti che ne possono derivare al condominio.

* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 6 luglio 1993, n. 1490, Soc. Celuc Libri c. Cond. di via S. Valeria n. 3/5 di Milano.

Nel caso in cui una norma di un regolamento condominiale di natura contrattuale stabilisca che le unità immobiliari non possono essere destinate se non ad abitazione ovvero a “studi professionali o commerciali di tutto decoro” e che in particolare sono vietati, non soltanto utilizzazioni suscettibili di arrecare danno, pericolo o molestia alle persone, anche a causa di rumori, esalazioni od altre simili immissioni, ovvero in contrasto con la moralità e il buon costume, ma anche destinazioni capaci di determinare - per la natura dell’attività esercitata - l’accesso quotidiano e comunque reiterato di una quantità di persone superiore a quella che normalmente frequenta un edificio di civile abitazione, é da ritenere in contrasto con tale norma l’attività di vendita di hardware, predisposizione e vendita di software e selezione del personale per la propria clientela svolta in un appartamento dell’edificio condominiale.

* Trib. civ. Milano, 16 dicembre 1991.

Pur in presenza di un divieto regolamentare di adibizione di unità condominiali a “gabinetto per cure di malattie infettive e contagiose”, deve ritenersi consentita la destinazione di un appartamento a studio di medicina di base, posto che la mera occasionalità con cui tali prestazioni vengano rese da un medico di base esclude il configurarsi di una violazione del divieto stesso.

* Trib. civ. Napoli, sez. III, 30 dicembre 1997, Condominio di via Guglielmo Appulo 9 in Napoli c. Manselli M.L. ed altri e Russo.

La clausola del regolamento condominiale che vieti “la destinazione degli appartamenti ad uso diverso dall’abitazione e di ufficio professionale” non inibisce l’utilizzo parziale per studio professionale della proprietà esclusiva.

* Trib. civ.  Lecce, 23 novembre 1993.

L’utilizzazione quale sexy shop di una porzione immobiliare sita nel cortile interno di uno stabile condominiale non comporta una destinazione contraria al decoro e alla tranquillità dell’edificio.

* Trib. civ. Bergamo, ord. 13 settembre 1995, Condominio Canarie c. Soc. Simcat e Oberti.

d)  Esigenze di tranquillità e riposo

L’amministratore del condominio è legittimato a fare valere in giudizio, a norma degli artt. 1130 n. 1 e 1131 cod. civ., le norme del regolamento condominiale, anche se si tratta di clausole che disciplinano l’uso delle parti del fabbricato di proprietà individuale, purché‚ siano rivolte a tutelare l’interesse generale al decoro, alla tranquillità ed all’abitabilità dell’intero edificio. (Nella specie un condomino aveva destinato a discoteca e sala da ballo i locali seminterrati di sua proprietà esclusiva che, a termini di regolamento, dovevano essere adibiti a magazzino).

* Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 1989, n. 397, Bentivogli c. Teodori.

E’ lesivo del diritto di ogni condomino l’uso di un’unità immobiliare destinata a foresteria che, per le sue concrete modalità, risulti incompatibile con le esigenze di tranquillità e riposo che costituiscono parte integrante del diritto su un immobile destinato a civile abitazione.

* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 3 aprile 1989, Condominio di via Benaco 26, Milano c. Ovaia.

e)  Lettura dei contatori

Nel caso in cui, in un edificio condominiale, il contatore dell’energia elettrica di una delle unità immobiliari di proprietà esclusiva di uno dei condomini, si trovi installato su una porzione di pianerottolo di proprietà esclusiva di altro condomino, con la conseguente facoltà accessoria, per il primo, di accedere a tale spazio sia per le verifiche periodiche, sia per la riattivazione dell’apparecchio in caso di interruzione, si ha una servitù con i caratteri dell’apparenza suscettibile di costituzione per destinazione del padre di famiglia, oltre che di acquisto per usucapione, e il cui possesso è tutelabile con le azioni possessorie in caso di altrui spoglio o di turbativa.

* Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1987, n. 3723, Matteini c. Faini.

Deve considerarsi illegittimo con tutte le conseguenze di legge il “benestare lavori” dato dall’amministrazione condominiale alla AEM relativo allo spostamento del contatore della luce dall’appartamento del privato alla cantina comune.

* Trib. civ. Milano, 22 gennaio 1990.

f)  Limiti imposti dal regolamento

I divieti e le limitazioni di destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, come i vincoli di una determinata destinazione ed il divieto di mutare la originaria destinazione, posti con il regolamento condominiale predisposto dall’originario proprietario ed accettati con l’atto d’acquisto, devono risultare da una volontà chiaramente ed espressamente manifestata nell’atto o da una volontà desumibile, comunque, in modo non equivoco dall’atto stesso, e non è certamente sufficiente, a tal fine, la semplice indicazione di una determinata attuale destinazione delle unità immobiliari medesime, trattandosi di una volontà diretta a restringere facoltà normalmente inerenti alla proprietà esclusiva da parte dei singoli condomini. I divieti e le limitazioni di cui sopra possono essere formulati nel regolamento sia mediante la elencazione delle attività vietate (in tal caso, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, basterà verificare se la destinazione stessa sia inclusa nell’elenco) sia mediante riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (in questo secondo caso, naturalmente, al fine suddetto, è necessario accertare la idoneità in concreto della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare).

* Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 1995, n. 1560, S.S. Latino c. Cond. di via M. Voli n. 6 di Torino.

I divieti ed i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate sia mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare: peraltro, specialmente in quest’ultimo caso, tali limiti e divieti, al fine di evitare ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze.

* Cass. civ., sez. II, 1 ottobre 1997, n. 9564, Spuntarelli e Menghini Snc. c. Cond. Via Ludovico di Monreale n. 12 Roma ed altri.

I divieti ed i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate sia mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare: nella prima ipotesi é sufficiente, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, verificare se la destinazione sia inclusa nell’elenco, dovendosi ritenere che già in sede di redazione del regolamento ne siano stati valutati gli effetti come necessariamente dannosi; nella seconda ipotesi, essendo mancata la valutazione in astratto degli effetti dell’attività, è necessario accertare l’effettiva capacità a produrre gli inconvenienti che si vogliono evitare.

* Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1994, n. 11126, Troja c. Cond. di Piazza Malatesta n. 41-59 di Roma.

In materia di condominio degli edifici, l’autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongono limitazioni nell’interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà. (Fattispecie in cui il regolamento di condominio di natura contrattuale, in quanto predisposto dal costruttore ed approvato da tutti i condomini, faceva divieto ai condomini di sciorinare panni dalle finestre, balconi  ecc.).

* Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 1999, n. 11692, Giustino c. Aponte.

I limiti di uso e di destinazione imposti da un regolamento di condominio alle unità immobiliari di proprietà esclusiva sono opponibili anche ai successivi acquirenti delle singole unità, ove il regolamento sia stato espressamente accettato dal dante causa mediante specifico richiamo contenuto in apposita clausola del relativo atto di acquisto.

* Cass. civ., sez. II, 12 maggio 1982, n. 2966, Sceusa c. Braconi.

In mancanza di norme limitatrici della destinazione e dell’uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti da regolamento approvato da tutti i condomini, la norma dell’art. 1122 cod. civ. vieta soltanto di compiere, nel piano o nelle porzioni di piano di proprietà esclusiva, opere che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio e non già opere che consistano nella semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro.

* Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 1985, n. 256, Cond. V. Vaccar c. Carrelli.

In tema di condominio di edifici il regolamento di condominio o il titolo di acquisto possono stabilire limitazioni con caratteri di oneri reali, ai poteri e alle facoltà che i singoli condomini hanno sulle parti di proprietà esclusiva, al fine di garantire il miglior godimento del bene altrui o comune. Pertanto, con riguardo alle aree destinate a parcheggio, può essere prevista, per una migliore coesistenza delle proprietà confinanti e di una migliore utilizzazione dell’intera area per le manovre di accesso e parcheggio, la limitazione del diritto di godimento di singoli condomini dei posti macchina di proprietà esclusiva consistente nel divieto di recinzione di tali posti macchina.

* Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 1991, n. 11019, Cond. Villa Regina di Pieve Ligure c. Aguglia.

Il regolamento di condominio, qualora abbia natura contrattuale (in quanto accettato da tutti i condomini), può imporre restrizioni anche ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti dell’edificio di loro esclusiva proprietà. Tali limitazioni vincolano anche gli acquirenti dei singoli appartamenti, indipendentemente dalla trascrizione, qualora essi nell’atto di acquisto, facendo espresso riferimento al regolamento, dimostrino di esserne a conoscenza e di accettarne il contenuto. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto che la clausola del regolamento, richiamato negli atti di acquisto, che faceva divieto di effettuare qualunque modifica o variazione esterna all’edificio, costituiva titolo per l’esclusione del diritto di sopraelevazione riconosciuto al proprietario dell’ultimo piano dall’art. 1127 c.c.).

* Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 1993, n. 395, Colacicco c. Cond. di Via Postiglione n. 3 di Bari.

In regime di condominio negli edifici, ciascun condomino è obbligato,  propter rem, a non eseguire, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, opere arrecanti pregiudizio agli immobili di proprietà esclusiva di altri condomini, ovvero alle parti comuni dell’edificio concesse in uso, in forza di regolamento contrattuale, ad altro condomino, ed è, pertanto, responsabile dei danni conseguenti a dette opere, senza che possa assumere rilevanza l’affidamento delle stesse ad un appaltatore che le abbia, a sua volta, eseguite in regime di autonomia. (Nella specie la S.C., enunciando il suindicato principio di diritto, ha riformato la sentenza del giudice di merito di rigetto della domanda di risarcimento danni avanzata da un condomino nei confronti di altro condomino che, nel corso dell’estate, aveva iniziato lavori di sistemazione dei locali di sua proprietà occupando un cortile condominiale - concesso in uso al primo, giusta clausola del regolamento di condominio, per l’esercizio di un’attività di bar - e protraendo la durata di tali lavori ben oltre il termine ultimo pattuito tra l’impresa appaltatrice, il titolare dell’esercizio commerciale e l’amministratore di condominio).

* Cass. civ., sez. II, 24 novembre 1997, n. 11717, Franchi c. Rigoni.

In materia di condominio negli edifici l’autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che limitano il diritto dominicale di tutti o di alcuni dei condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà nell’interesse di tutto il condominio o di una sua parte. Tali convenzioni, che possono essere anche inserite nei regolamenti condominiali, i quali nella relativa parte assumono natura contrattuale, richiedono per la loro validità l’approvazione scritta da parte di tutti i condomini, sia mediante accettazione del regolamento eventualmente predisposto dall’originario unico proprietario dell’edificio, sia mediante il consenso manifestato in seno all’assemblea dal singolo condomino, nel caso di regolamento formato con l’approvazione dell’assemblea dei condomini.

* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1998, n. 10335, Munari Arredamenti snc c. Cond. Palladio.

Le norme dei regolamenti che investono i poteri e le facoltà che i singoli condomini hanno, iure domini, sulle loro parti esclusive, restringendo in tal modo, nell’interesse comune, il contenuto del loro diritto di proprietà sulle parti stesse, debbono assumere carattere convenzionale nel senso che, se precostituite, debbono essere accettate dai condomini nei contratti di acquisto o, con separati atti esprimenti la loro volontà di accettare, se deliberate dall’assemblea dei condomini.

* Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1994, n. 6501, Condominio Via Sette Chiese 290 - Roma c. Nuova Lidia Srl.

Il regolamento di condominio può introdurre nell’interesse della comunione, particolari limitazioni al contenuto dei diritti di proprietà esclusiva spettanti ai condomini, le quali possono consistere anche nel divieto di dare ai singoli appartamenti una o più delle destinazioni possibili, ovvero nell’obbligo di preservarne l’originaria e normale destinazione per l’utilità generale dell’intero edificio. Per la validità di tali clausole, contenenti veri e propri oneri reali, è, tuttavia, necessario che il regolamento condominiale, se predisposto dall’originario unico proprietario dell’edificio, ovvero, nel caso di vendita forzata, dal giudice dell’esecuzione, venga accettato dai singoli acquirenti (o aggiudicatari) e se, invece, formato dall’assemblea dei condomini, venga deliberato all’unanimità e, comunque, con l’adesione del condomino gravato.

* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1974, n. 3168.

Il regolamento di condominio può disciplinare le situazioni di diritto reale riguardanti le parti di proprietà esclusiva dell’edificio soltanto se abbia natura contrattuale, cioè quando sia stato predisposto dall’unico originario proprietario dell’edificio stesso e accettato con i singoli atti d’acquisto, ovvero quando venga adottato con il consenso unanime dei condomini manifestato nelle forme prescritte. Diversamente, il regolamento può imporre o vietare ai condomini un determinato comportamento in ordine all’uso, alla manutenzione e all’eventuale modifica delle parti di proprietà esclusiva solamente nella misura in cui ciò si rende necessario per tutelare interessi generali del condominio, ivi compreso il decoro architettonico dell’edificio.

* Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1986, n. 5065, Cond. Edoardo c. Franchin.

I divieti e i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate sia mediante riferimenti ai pregiudizi che s’intendono evitare mentre nella prima ipotesi è sufficiente, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, verificare se la determinazione sia inclusa nell’elenco, nella seconda ipotesi, è necessario accertare la effettiva capacità della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti cui si volle ovviare.

* Cass. civ., sez. II, 15 luglio 1986, n. 4554, Graziosi c. Fiesoletti.

Le norme del regolamento condominiale che incidono sulla utilizzabilità e la destinazione delle parti dell’edificio di proprietà esclusiva, distinguendosi dalle norme regolamentari, che possono essere approvate dalla maggioranza dell’assemblea dei condomini, hanno carattere convenzionale e, se predisposte dall’originario proprietario dello stabile, debbono essere, pertanto, accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto o con atti separati; se deliberate, invece, dall’assemblea, debbono essere approvate all’unanimità, dovendo, in mancanza, considerarsi nulle, perché eccedenti i limiti dei poteri dell’assemblea.

* Cass. civ., sez. II, 12 maggio 1994, n. 4632, Condominio Aurora di via Peirogallo n. 4 di Sanremo c. Soc. Immobiliare Sanremo.

Il regolamento di condominio predisposto dall’originario unico proprietario dell’intero edificio, ove sia accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari assume carattere convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo per le clausole che disciplinano l’uso o il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca. Ne consegue che qualora il regolamento di condominio faccia divieto di svolgere determinate attività (nella specie: divieto di adibire i locali del fabbricato condominiale ad esercizio di ristorante) non occorre accertare, al fine di ritenere l’attività stessa illegittima, se questa costituisca oppur non immissione vietata a norma dell’art. 844 c.c., con le limitazioni ed i temperamenti in tale norma indicati, in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono legittimamente imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche diverse o maggiori di quelle stabilite dalla citata norma, e l’obbligo del condominio di adeguarsi alla norma regolamentare discende in via immediata e diretta  ex contractu per il generale principio espresso dall’art. 1372 c.c.).

* Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 1992, n. 49.

Le norme del regolamento di condominio edilizio che impongono divieti di destinazione ed altre limitazioni similari all’uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva concorrono ad integrare la disciplina delle cose comuni dell’edificio in quanto dirette ad impedire un uso abnorme delle stesse in conseguenza di situazioni e comportamenti che non si escauriscano nello stretto ambito delle proprietà esclusive; ne deriva che anche in caso di violazione di tali prescrizioni l’amministratore del condominio, indipendentemente dal conferimento di uno specifico incarico con deliberazione della assemblea dei condomini (la quale può spiegare rilevanza come mera sollecitazione), ha, a norma dell’art. 1130 cod. civ., il potere di farne cessare il relativo abuso e, quindi, la relativa legittimazione processuale, senza che possa trovare limiti in autonome iniziative giudiziarie dei singoli condomini.

 * Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1985, n. 1131, Sepiacci c. Cond. V. Alessi.

Particolari limitazioni al contenuto dei diritti di proprietà esclusiva spettanti ai singoli condomini possono essere introdotte, oltre che negli atti di acquisto, anche con il regolamento di condominio, ed esse possono consistere anche nel divieto di dare alle singole unità immobiliari comprese nell’edificio condominiale una o più destinazioni possibili, ovvero nell’obbligo di preservarne le originarie destinazioni per l’utilità generale dell’intero edificio; tali limitazioni configurano dei veri e propri oneri reali e richiedono, per la loro validità, di essere approvate ed accettate da tutti i condomini, ovvero, nell’ipotesi che incidano solo su alcune delle unità comprese nell’edificio, dai rispettivi titolari, e ciò sia mediante espressa accettazione del regolamento eventualmente predisposto dall’originario unico proprietario dell’edificio, sia mediante il consenso manifestato in seno all’assemblea dal singolo condomino, nel caso di regolamento formato mediante approvazione dell’assemblea dei condomini.

* Cass. civ., sez. II., 7 marzo 1983, n. 1681, Strinella c. Cond. Vil. Fausta.

Nell’ambito della propria autonomia negoziale, i condomini possono introdurre, attraverso il regolamento di condominio, particolari limitazioni al contenuto dei rispettivi diritti di proprietà esclusiva, ma le relative clausole, per l’effetto riduttivo che ne consegue, hanno carattere convenzionale, sicché, ai fini della loro validità, se predisposte dall’originario unico proprietario dell’edificio, devono essere accettate dai singoli acquirenti ad esse interessati, nel contratto di acquisto o con atto separato, e, se deliberate in assemblea, devono essere approvate all’unanimità di tutti i condomini gravati.

* Cass. civ., sez. II, 30 ottobre 1980, n. 5843, Rindone c. Schillaci.

L’opponibilità ai successivi acquirenti delle clausole di regolamenti di condominio che impongano limitazioni al normale contenuto dei diritti dei condomini sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva deriva o dall’avvenuta trascrizione di dette clausole oppure dall’accettazione delle stesse nei singoli atti di acquisto, nel qual caso, ove il regolamento sia richiamato con precisione ed espressamente accettato, non occorre nemmeno una specifica descrizione del contenuto della limitazione, trattandosi generalmente di vincoli relativi a tutte le unità che compongono l’edificio condominiale. (Nella specie, trattavasi di clausola vietante l’adibizione degli appartamenti ad attività di pensione o di albergo).

* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1980, n. 1303, Binda c. Galli.

Le clausole contenute nel regolamento di condominio, che siano inserite negli atti di compravendita delle singole unità immobiliari, ove importino restrizioni alle facoltà inerenti al diritto di proprietà, allo scopo di assicurare vantaggi alle aree contigue, sono costitutive di oneri aventi natura sostanziale di servitù. Ne consegue che i proprietari di tali aree hanno interesse ad agire per il rispetto delle dette limitazioni imposte dal regolamento.

* Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1979, n. 5985, Rossetti c. Palma.

Il regolamento di condominio, afferendo alla sfera condominiale che è sfera di mera gestione, è paradigmaticamente diretto a disciplinare - anche sotto il profilo del concorso economico da parte dei proprietari di piani o porzioni di piano - la conservazione e l’uso delle parti comuni dell’edificio, nonché l’apprestamento e la fruizione dei servizi comuni, e pertanto le sue disposizioni non possono, per definizione, menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni (art. 1138, ultimo comma, c.c.). Ne consegue che le clausole che, eventualmente inserite nel suo contesto, tendano a limitare tali diritti, sia in ordine alle parti comuni, sia in ordine a quelle di proprietà esclusiva, rivestono natura convenzionale e possono, quindi, trarre validità ed efficacia solo dalla specifica accettazione degli interessati, espressa in forma adeguata.

* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4927.

Le limitazioni al contenuto dei diritti di proprietà esclusiva spettanti ai singoli condomini - quali quelle consistenti nel divieto di dare alle singole unità immobiliari una o più destinazioni possibili, per l’utilità generale dell’intero edificio - introdotte con un regolamento di condominio approvato in assemblea, poiché generano dal lato passivo degli oneri reali incidendo sulla proprietà dei singoli, richiedono, a pena di nullità, l’unanimità dei consensi dei condomini e nel caso che taluno di essi si sia fatto rappresentare in assemblea é necessario che il conferimento del mandato risulti da atto scritto secondo la previsione di cui agli artt. 1392 e 1350 c.c.

* Cass. civ., sez. II, 28 luglio 1990, n. 7630, Armenia c. Cilia.

In tema di condominio di edifici, le limitazioni dei diritti di proprietà esclusiva dei singoli condomini possono essere introdotte, oltre che negli atti di acquisto, anche con il regolamento di condominio, ed in tal caso, ove consistano nel divieto di dare alle singole unità immobiliari una o più destinazioni possibili ovvero nell’obbligo di preservarne le originarie destinazioni per l’utilità generale dell’intero edificio, configurando veri e propri oneri reali, devono, per la loro validità, essere stabilite in forma chiara ed univoca ed essere approvate ed accettate da tutti i condomini, ovvero, nell’ipotesi che incidano solo su alcune delle unità comprese nell’edificio, dai rispettivi titolari.

* Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1990, n. 7654.

In mancanza di norme limitative della destinazione e dell’uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti dal regolamento che sia stato approvato da tutti i condomini, la norma dell’art. 1122 c.c. non vieta di mutare la semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro, purché non siano compiute opere che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune; in tal caso il giudice può inibire la nuova destinazione, ordinando la rimozione delle opere pregiudizievoli, qualora sia stata ritualmente proposta la domanda in tal senso. (Nella specie, la S.C., nell’enunciare il principio succitato, ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva statuito il divieto del mutamento di destinazione di porzione di proprietà esclusiva di un condomino da autorimessa ad abitazione, costituendo detta modifica un peggioramento dell’estetica della facciata e creazione di una situazione di “basso”, risolventesi anche in pregiudizio economicamente apprezzabile per il decoro abitativo generale dell’edificio, posto in zona residenziale).

* Cass. civ., sez. II, 17 aprile 2001, n. 5612, Verrone c. Celestino.

In tema di condominio, le pattuizioni, contenute nel regolamento predisposto dall’originario proprietario ed accettato con l’atto d’acquisto, che comportino restrizioni delle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva dei singoli condomini ovvero di quelle relative alle parti condominiali dell’edificio, devono essere espressamente e chiaramente enunziate, con la conseguenza che devono ritenersi invalide quelle pattuizioni che, con formulazione del tutto generica, limitino il diritto dei condomini di usare, godere o disporre dei beni condominiali ed attribuiscano all’originario proprietario il diritto non sindacabile di apportare modifiche alle parti comuni.

* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1990, n. 4905.

I limiti di destinazione e di uso imposti da un regolamento di condominio ad una unità immobiliare di proprietà esclusiva sono opponibili, pur in difetto della trascrizione del relativo atto, al terzo acquirente, nel caso in cui lo stesso nel contratto di compravendita abbia espressamente dichiarato di conoscere il regolamento di condominio e di accettarlo in ogni sua parte (nella specie il regolamento condominiale conteneva una clausola che vietava l’adibizione degli appartamenti ad attività rumorose, insolubri, ed emananti esalazioni nocive o sgradevoli).

* Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1992, n. 1195.

Le disposizioni limitative del diritto di godimento sui beni comuni - una volta che non risulti trascritto il regolamento - sono opponibili ai singoli condomini soltanto se siano contenute in un regolamento condominiale contrattuale, categoria in cui rientrano anche i regolamenti predisposti dall’unico originario proprietario dell’edificio, ma solo se accettati specificamente da tutti i primi acquirenti degli appartamenti e dai successivi aventi causa.

* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 30 luglio 1993, n. 2063, Rosolino c. Cond. di via Orsini n. 42 di Napoli.

Il divieto posto a carico del condomino di imprimere una determinata destinazione (nella specie commerciale) alla porzione di sua proprietà esclusiva, traducendosi in una limitazione delle facoltà inerenti al diritto domenicale, presuppone un titolo convenzionale, con l’accettazione del vincolo da parte del condomino stesso, in sede di acquisto della proprietà esclusiva. Per converso, in difetto di una tale accettazione, si deve escludere che una certa utilizzazione dell’alloggio di proprietà esclusiva possa di per sé costituire fatto illecito, avverso il quale sia dato al condominio o agli altri condomini la facoltà di insorgere, salva restando la tutela di questi per gli eventuali pregiudizi che possano derivare dal concreto svolgimento delle attività inerenti a detta destinazione e dalle relative modalità.

* Trib. civ. Nocera Inferiore, 20 febbraio 2002, n. 197, Condominio Palazzo F.A.S. c. De Leo ed altro.

La norma del regolamento di un condominio che prevede il divieto per i singoli condomini d’intraprendere lavori di qualsiasi genere nei propri e nei comuni locali senza la preventiva autorizzazione scritta dell’amministratore spiega efficacia vincolante nei confronti dei condomini in forza o della loro adesione al regolamento, espressa nell’atto di compravendita dei rispettivi appartamenti, o a norma dell’art. 1138, comma 3, c.c. e dell’art. 1107 c.c. Pertanto, deve essere demolita la veranda, costruita senza la predetta autorizzazione, sul balcone di proprietà esclusiva del singolo condomino.

* Trib. civ. Pescara, 30 marzo 1995, n. 320, Di Valerio e Ricci c. Mastrocecco.

Le norme di un regolamento condominiale non possono in linea di principio incidere sulle facoltà inerenti al diritto di proprietà esclusiva dei singoli condomini attraverso l’imposizione di limiti o divieti a meno che non siano espressione di un regolamento contrattuale, cioè di un regolamento approvato dall’unanimità dei condomini o espressamente richiamato nel singolo contratto di compravendita della porzione di proprietà esclusiva del condominio gravato dalla specifica limitazione qualora il regolamento condominiale sia stato predisposto da un unico originario proprietario dell’intero edificio condominiale.

* Pret. civ. Susa, 18 dicembre 1986, n. 34, Condominio “I Cembri” c. Gioda.

I divieti di utilizzo della proprietà contenuti in un regolamento condominiale, proprio perché riferiti al più pieno dei diritti reali, hanno carattere tassativo e non sono applicabili analogicamente né appaiono suscettibili di interpretazione estensiva.

* Trib. civ. Milano, 21 novembre 1991.

Le clausole limitative della proprietà esclusiva conteneute in un regolamento condominiale sono vincolanti solo nei confronti di quei condomini che erano tali al tempo della delibera istitutiva del regolamento nonché per i loro successori mortis causa.

* Trib. civ. Lecce, 23 novembre 1993.

g)  Locazione a terzi

In mancanza di norme limitatrici della destinazione e dell’uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, ed al di fuori delle limitazioni poste all’attività innovativa dagli artt. 1102 e 1122 c.c., deve escludersi che l’utilizzazione dell’alloggio di proprietà esclusiva a locazione per uso di camere ammobiliate possa di per sé‚ costituire fatto illecito, avverso il quale sia dato agli altri condomini facoltà di insorgere e chiedere l’eliminazione di opere meramente interne funzionali dell’utilizzazione stessa, salvo che ne derivino pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti altrui.

* Corte app. civ. Bologna, 14 novembre 1989, n. 1010.

h)  Mutamento d’uso

Qualora un appartamento in fabbricato condominiale venga destinato ad uso diverso da quello consentito dalla licenza edilizia (nella specie, centro medico-diagnostico anziché abitazione), deve negarsi che il condominio possa allegare tale violazione a sostegno di una pretesa di ripristino dell’originaria destinazione, ovvero di risarcimento del danno, in quanto le prescrizioni contenute in materia da detta licenza operano esclusivamente nel rapporto con l’amministrazione e non costituiscono diritti in favore dei terzi (a differenza delle norme di edilizia stabilite in via generale da leggi o regolamenti, ai sensi dell’art. 872 cod. civ.).

* Cass. civ., sez. II, 7 agosto 1989, n. 3625, Condominio di via Montesanto 52, Roma c. INPGI - Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani.

Qualora il mutamento di destinazione di un locale, in edificio condominiale, integri violazione degli obblighi del proprietario nei confronti degli altri condomini, deve ritenersi consentito a questi ultimi di chiedere ed ottenere dal giudice ordinario una sentenza di condanna alla “chiusura” dell’attività in cui si concretizza detta mutata destinazione (nella specie, gestione di una sala da ballo), poiché un siffatto provvedimento, operante nell’ambito del rapporto privatistico, non implica usurpazione dei poteri della pubblica amministrazione, né interferenza sugli atti amministrativi che attengano all’autorizzazione dell’indicata attività.

* Cass. civ., Sezioni Unite, 19 gennaio 1987, n. 412, Santucci c. Cond. V. Ger. 101.

A fronte del mutamento di destinazione di un locale in edificio condominiale, che il proprietario esclusivo del locale medesimo realizzi, mediante opere meramente interne, in violazione di vincolo imposto dal regolamento del condominio (nella specie, trasformazione di soffitta in vano abitabile), deve escludersi che i proprietari delle altre porzioni del fabbricato possano conseguire l’eliminazione di dette opere interne, spettando ad essi soltanto il diritto di ottenere l’inibizione del diverso uso, come pregiudizievole al titolare del sottostante appartamento, in dipendenza dei maggiori rumori derivanti dall’uso diuturno da parte degli abitanti, rispetto a quello discontinuo proprio della soffitta.

* Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 1985, n. 17, Soucup c. Fabbri.

Sulla base dell’art. 1122 cod. civ. il mutamento d’uso della proprietà esclusiva condominiale è lecito ove non sia vietato dal regolamento condominiale. Non contravviene a quest’ultimo la destinazione dell’appartamento a centro per trasmissioni televisive ove il regolamento predetto vieti la destinazione degli appartamenti ad uffici, industrie e in genere a qualsiasi altro uso che possa turbare la tranquillità dei condomini, o comunque di compiere atti che possano costituire pericolo o danno allo stabile o menomare il decoro e il carattere della casa.

* Trib. civ. Roma, 27 ottobre 1980, Cond. via Govoni 1 c. Aladino S.p.a. e altro.

i)  Stendimento panni

Quando si esce fuori dall’uso normale e si cade nell’ipotesi in cui i panni sciorinati invadono materialmente con la loro parte pendente o con l’acqua gocciolante il terrazzo alieno ci si trova indubbiamente di fronte ad una compressione del godimento del proprietario sottostante e alla reciproca aggiunta, alle facoltà inerenti al godimento dell’appartamento sovrastante, di una parte di godimento che non é compresa nel relativo diritto; ciò dà luogo chiaramente ad una conseguente utilità dell’appartamento sovrastante per effetto della posizione in cui esso si trova ed è indubbio perciò lo schema tipico del peso imposto ad un fondo per il servizio a favore di un altro fondo.

* Cass. civ. 6 dicembre 1978, n. 5772.

La norma di un regolamento condominiale che impone di non sciorinare i panni riguarda esclusivamente le parti comuni nel rispetto di un generale principio di decoro architettonico e non è dunque applicabile nel caso in cui si tratti del rapporto tra due proprietà individuali (nella specie, il fondo servente che subisce lo sgocciolamento è un semplice pozzo-luce; quindi non è né un cortile interno né dà sulla pubblica strada).

* Trib. civ. Bologna, sez. I, 4 marzo 1993, n. 278, Setta c. Hilbe Betti e Vandini.

In tema di condominio degli edifici, l’obbligo assunto dai singoli condomini in sede di approvazione del regolamento contrattuale, di non eseguire sul piano o sulla porzione di piano di proprietà esclusiva attività che rechino danno alle parti comuni (nella specie obbligo di non sciorinare i panni dalle finestre, balconi ecc.) ha natura di obbligazione  propter rem, la cui violazione, pur se protratta oltre venti anni, non determina l’estinzione del rapporto obbligatorio e dell’impegno a tenere un comportamento conforme a quello imposto dal regolamento onde è sempre deducibile, stante il carattere permanente della violazione, il diritto degli altri condomini di esigere l’osservanza di detto comportamento, potendosi prescrivere soltanto il diritto al risarcimento del danno derivante dalla violazione dell’obbligo in questione.

* Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 1999, n. 11692, Giustino c. Aponte.

Nell’azione di reintegra del diritto dei frontisti di ancorare corde per sciorinare i panni ad una facciata condominiale è passivamente legittimato il condominio in sé, e non i singoli condomini, ove il diritto si è esercitato su una delle parti dell’edificio, la facciata, e, soprattutto, ove sia stata l’assemblea condominiale a deliberare di eliminare gli ancoraggi.

* Pret. civ. Sampierdarena, 12 novembre 1982, n.191.

 

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